La democrazia telematica
La battaglia tra il free software e quello proprietario si colora di suggestioni politiche
Sullo sfondo c’è la filosofia della condivisione
di Michele Giacomantonio
A guardarlo in modo suggestivo, sembra l’epico scontro tra Davide e Golia. Da una parte i potenti giganti dell’universo dell’informatica globale, dall’altra milioni di piccoli sofisticati utenti che si ribellano al software proprietario, immaginando una vera “era dell’accesso”, come la definiva in un suo non recentissimo libro Jeremy Rifkyn. L’accesso che cambia il modo stesso di operare nel mondo della comunicazione e del web passa attraverso la condivisione del software, che per definizione, dunque deve essere libero. Il “nemico” è il modello di business che si è imposto come dominante, non solo dal punto di vista del mercato, ma soprattutto culturale. Vincenzo Bruno, ricercatore di Fisica presso l’Università della Calabria, è uno dei più attivi animatori dell’Hacklab, un gruppo di “smanettoni” che sono impegnati nella diffusione del free software. A ben guardare, definirli smanettoni è del tutto inappropriato, visto che il fronte su cui si battono quelli dell’Hacklab è anche etico-politico, oltre che tecnico.
«La differenza principale tra un software proprietario e uno libero – spiega Bruno – sta nel fatto che l’utente non puo mai in nessun modo entrare nel programma che sta usando, né può modificarlo». Il programma gli resta sostanzialmente alieno. L’approccio del free software è invece completamente diverso, proprio in termini di filosofia di base. Con l’uso di un software libero non si diventa proprietari del programma, ma potendo entrarvi, perché non ci sono licenze né proibizioni, lo si può modificare per i propri scopi e si diventa così proprietari dei prodotti realizzati con esso.
Del tutto diversa la situazione col software proprietario, di cui acquistiamo l’uso ma che ci impedisce per una serie di patti contrattuali a modificarlo. Non solo, in definitiva l’utente non è nemmeno proprietario dei propri lavori, visto che qualora il sistema dovesse mutare, quei lavori archiviati andrebbero perduti. Bruno spiega che alla base della circolazione del free software c’è una nuova e diversa concezione del patto etico tra chi ha realizzato il programma e chi lo usa. «Il free software si basa essenzialmente sulla condivisone della conoscenza, sul rispetto dell’etica di base che si fonda sull’accesso come proprietà condivisa». Subito viene il dubbio che qualche furbo possa pensare di acquisire un programma libero, e dopo averlo modificato lo metta in vendita, tradendo così il patto etico di base. ln realtà questo tentativo non andrebbe soddisfacentemente in porto, perché il software libero si basa sull’implementazione diffusa degli utenti, «che lo modificano, lo fanno crescere e lo diffondono in modo virale.
Dunque, la forza del software libero sta esattamente nella solidità della nuova etica di accesso e condivisione della conoscenza. E non si pensi che la battaglia in corso tra due etiche contrapposte, quella che tutela il predominio sul mercato e quella che privilegia la condivisione dei saperi, abbia un esito scontato. «Il software libero è molto più diffuso di quanto si pensi- dice ancora Vincenzo Bruno -. Android è massicciamente presente sui telefoni, molto diffuso è l’uso di Linux, Apache è significativamente sul web. Ma anche i programmi di uso più comune, come Open Office stanno affermandosi.» E come accade sempre quando ci si prospetta un passaggio epocale in termini di evoluzione tecnica, ecco che affiora prepotente l’aspetto sociologico ed etico. Perché il terreno di scontro tra le due filosofie in gioco, quella della protezione dei diritti proprietari delle grandi aziende di informatica e la nuova idea di partecipazione diffusa all’accesso ai saperi, mette in gioco due diverse visioni della società stessa e dei rapporti tra le persone.
Una questione etica dunque, tra chi immagina la conoscenza come opportunità diffusa e plurale e chi invece è impegnato a tenerla rigidamente dentro un recinto per il vantaggio di pochi. In un tempo in cui gli strumenti di realizzazione di ricchezza sono sempre più decisamente collocati nei lavori cognitivi che producono beni immateriali,il controllo e l’accesso alla conoscenza diventa strumento di dominio. E dunque la battaglia tra free software e quello proprietario si colora di suggestioni politiche, con chi si spinge audacemente a parlare di comunismo dei saperi. In realtà, anche Bruno condivide questa visione, ma sottolinea come il software libero è al tempo stesso la massima tutela della proprietà. Infatti, il patto etico che lega il creatore del programma libero ai suoi utenti sta nel rispetto e nel riconoscimento dell’atto creativo originale, che pur restando dell’autore, diventa al tempo stesso patrimonio comune.
In questa logica la proposta di legge presentata dall’ldv, che prevede che gli uffici pubblici utilizzino solo free software, rappresenterebbe una rivoluzione, non solo in termini economici, ma anche per la possibilità di restare sempre proprietari degli archivi realizzati e dei dati prodotti, ma pure di poterli mettere in rete senza impedimenti. In questo senso, spiega Vincenzo Bruno, «il software libero si presenta come un nuovo paradigma nell’economia locale, garantendo anche sicurezza e indi pendenza dai giganti dell’informatica».
Una pubblica amministrazione dotata di queste potenzialità, aprirebbe scenari inediti anche in Calabria. E come sempre la parola passa alla politica che deve fare le sue scelte, sul legame tra le nuove tecnologie e uno sviluppo economico maggiormente sostenibile.
L’IDEA
Hacklab, il circolo di “smanettoni”
L’idea che sta dietro al software libero è un’idea libertaria e egualitaria, basata sulla condivisione della forza di maggior capacità di mutamento, cioè la conoscenza. I protagonisti di Hacklab lo sanno bene e per questo sono impegnati per la diffusione e l’adozione del free software come strumento per abbattere le barriere culturali ed economiche che vengono dalle leggi di mercato.
Soprattutto Bruno e suoi compagni di ricerca sono persuasi che la limitazione della partecipazione ai saperi non sia soltanto ingiusta, ma alla lunga rallenti il percorso dell’innovazione, che invece con la condivisione della conoscenza si diffonde in modo virale ed efficace.
Di qui gli incontri che si tengono periodicamente per tenere lezioni sui programmi liberi di maggior uso. «La sede di Hacklab è presso un’aula dell’Università della Calabria, che utilizziamo quando non ci sono attività didattiche», racconta Bruno, che annuncia che in autunno si terrà la dodicesima edizione del Linux day, durante la quale si promuoverà la diffusione del free software. I partecipanti all’Hacklab sono alcune decine e il numero è variabile perché le persone che gravitano attorno a questo progetto sono soprattutto universitari e ricercatori, tra i quali c’è sempre un discreto turnover. Oggi, tra i paladini della condivisione della conoscenza circola un libro che si presenta come assai eretico. Pubblicato da Rubettino, il libro si intitola “Contro la proprietà intellettuale” e l’autore è un libertario che si oppone a ogni forma di copyright, considerandolo inaccettabile. Kinsella Stephen infatti è l’epigono estremo della battaglia che si consuma tra il software libero e quello proprietario.
VADEMECUM
Tutti gli indirizzi per saperne di più
Un gruppo come Hacklab si muove ovviamente in Rete. Ecco di seguito alcuni indirizzi dove trovare infor mazioni sulle attività: http://hacklab.cosenzainrete.it.
Di seguito il materiale relativo ad alcuni progetti per la diffusione del software libero: http://confsl.org; esiste anche un coordinamento nazionale perle leggi regionali sul software libero e il sito è: http://leggi:confsl.org/mediawiki.
C’è inoltre una rivista online che si può consultare a questo indirizzo: http://www.haxonline.org.
E ancora, per chi cercasse informazioni sul master su tecnologie libere, http://cssl.calabria.it/master.
Per ultimo, la pagina di Wikipedia sulla quale Hacklab sta costruendo un elenco delle associazioni calabresi attive sul software libero: http://it.wikipedia.org/gruppi FLOSS Calabria#Hacklab Cosenza.